La frequentazione del territorio del Parco data dalla preistoria. Dopo la fine dell’ultima glaciazione quest’area si ricoprì lentamente di vegetazione, e la fauna divenne più abbondante. Piccoli gruppi di cacciatori, probabilmente abitanti nelle circostanti aree collinari, cominciarono a frequentare il territorio montano alla ricerca di selvaggina. Di questa frequentazione sono state ritrovate importanti tracce, in particolare nell’area dei laghetti di Colbricon.
La scoperta del sito mesolitico dei Laghetti del Colbricon fu la prima testimonianza di presenze umane in alta quota dopo l’Ultimo Massimo Glaciale, e aprì di fatto un nuovo capitolo nello studio della storia dei popolamenti mesolitici nell’ambiente alpino.
La scoperta del sito avvenne nel 1971 e come spesso accade fu inaspettata e casuale. Gianluigi Secco, allora ventenne, quel giorno era salito ai laghetti del Colbricon per andare a pescare fermandosi sul primo laghetto che si incontra salendo da Malga Ces, quello più grande. Qui posizionata la canna da pesca fu attratto da una piccola pietra che l’acqua copriva e scopriva. Era una pietra strana, diversa da quelle prodotte dal disfacimento dei porfidi, che formano la Cavalazza o il Colbricon. Così la prese, la portò a casa, la fece vedere allo zio Luigi Secco. Lo zio si accorse che era una selce con segni di scheggiatura e resosi conto dell’importanza della scoperta ne informò la Direzione del Museo Tridentino di Scienze Naturali.
Qui le selci furono prese in esame dal dottor Bernardino Bagolini del Museo Tridentino di Scienze Naturali, uno dei maggiori esperti di preistoria, che riconobbe nelle selci del Colbricon la prima testimonianza di cacciatori mesolitici in alta quota. Bagolini attribuì quei primi reperti al Sauveterriano antico, circa 10.500 anni fa e intraprese una campagna di scavi che durò circa 10 anni ed aprì la strada agli studi sul Mesolitico alpino.
Durante le ricerche nell’area del Colbricon furono rinvenute le tracce di 12 siti di frequentazione mesolitica, dei quali nove furono oggetto di scavo. Questi indicavano una lunga frequentazione di piccoli nuclei di cacciatori, iniziata nel Preboreale, oltre 11.000 anni fa, e conclusasi alla fine del Borale, circa 8.500 anni fa. La loro cultura litica è sostanzialmente sauveterriana. Il sito più antico risale alla fase iniziale di questa cultura, ma presenta ancora elementi epigravettiani, cioè della cultura precedente, che si rinviene anche nel Pian dei Laghetti presso San Martino. Il sito più recente appartiene invece al Sauveterriano finale. Nel complesso si possono riconoscere bivacchi collegati con il trattamento e l’utilizzo dei prodotti della caccia, aree dove si preparavano schegge di selce, i microliti, con cui si armavano le armi da getto e bivacchi posti in posizioni particolarmente favorevoli per osservare più versanti montani, probabilmente legati alle operazione di caccia.
Fra il 1972 e il 1986 furono inoltre effettuate numerose prospezioni in aree adiacenti ai Laghetti del Colbricon: fu così possibile documentare che dalla fine del Tardiglaciale (circa 11.600 anni fa) al Boreale (circa 10.000 – 8.500 anni fa) i cacciatori mesolitici frequentarono il passo Valles, il Rolle, il laghetto della Cavalazza, a quota 2141 m, la Val Bonetta fino alla conca di San Martino. In particolare furono individuati nell’area del passo Rolle cinque siti, a quota 2021, dove attualmente si trova un acquedotto, nel dosso a quota 2003, lungo il sentiero che porta a malga Costoncella, in prossimità del ruscello che scende da Campo Croce, poco oltre la zona panoramica e nei pressi di malga Rolle.
Ai siti mesolitici dei laghetti del Colbricon è dedicata una pubblicazione del Parco curata da Fabrizio Bizzarini. Nel volumetto viene illustrato il metodo di indagine che ha permesso di comprendere le varie fasi di frequentazione del sito e di ricostruire l’organizzazione dei bivacchi dei cacciatori – raccoglitori che frequentarono queste montagne per un lunghissimo periodo di tempo, fra la fine del Tardiglaciale, circa 11.500 anni fa e il Boreale, circa 8.500 anni fa. Uno specifico capitolo ricostruisce l’evoluzione del paesaggio alpino in quel periodo, quando i cambiamenti ambientali e quelli conseguenti delle civiltà preistoriche modificarono il rapporto fra l’uomo e le montagne, comprese quelle oggi tutelate dal Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino. La pubblicazione cerca anche di ricostruire, grazie agli studi petrografici condotti sulle selci rinvenute in loco, le modalità costruttive degli strumenti usati dai cacciatori mesolitici e i percorsi da essi seguiti per risalire dalle valli dell’Adige o del Brenta sino alle aree alpine di San Martino e del Passo Rolle.
La pubblicazione, di 24 pagine, è in vendita presso i Centri visitatori del Parco e nel negozio on-line , e comprende anche una mappa per la visita del sito.