L’altopiano centrale delle Pale di San Martino è vastissimo e nascosto; solo in parte è compreso nel Parco. Percorrendo le valli che circondano il gruppo si costeggiano enormi muraglie rocciose; le stesse pareti, sopraelevate rispetto al pianoro centrale, lo nascondono quasi ovunque alla vista. Anche la Rosetta, che col suo piano inclinato costituisce un orlo dell’altopiano, s’impenna sulla valle del Cismon come per nasconderlo. Occorre penetrare nel massiccio, spingersi sull’orlo dell’altopiano stesso, per rendersi conto della sua grandiosità. È stato definito dai primi viaggiatori ottocenteschi il più selvaggio e sterile dei deserti. È lungo 10 km e largo 5 solo in parte compreso nel Parco. In realtà il pianoro non è uniforme e piatto, ma obbliga a districarsi fra conche, risalti, deviazioni per evitare profonde crepe nella roccia. L’Altopiano delle Pale è lungo circa 10 chilometri e largo 5, e si distende a una quota fra i 2500 e i 2700 metri. Una marcata frattura, probabilmente dal significato tettonico, lo attraversa in mezzo, da ovest a est: è la Riviera Manna, percorsa, fra i 2400 e i 2500 metri di quota, dal sentiero principale di traversata, dal Passo Canali al Rifugio Rosetta. Su questa direttrice si trova il pittoresco laghetto di Manna.
La superficie dell’altopiano presenta tutti i fenomeni del carsismo superficiale: doline, campi carreggiati, inghiottitoi. Le acque defluiscono in fretta, convogliate per via sotterranea ai torrenti che escono improvvisamente nelle ripide valli laterali. La natura carsica del terreno fa sì che le acque non vengano filtrate lungo il percorso; i rischi d’inquinamento, anche a causa della pressione turistica, sono dunque assai elevati, in un equilibrio ambientale così delicato.
“Il più selvaggio e arido dei deserti”
Nella sua descrizione davanti ai colleghi dell’Alpine Club di Londra, Leslie Stephen, giunto sull’altopiano nel 1869, lo descrive come “il più selvaggio e sterile dei deserti“, un ambiente di curious wilderness. Egli nota che la superficie non ha forti dislivelli, ma porta i segni delle acque superficiali, che lo “hanno inciso con piccole depressioni, mentre l’azione dei ghiacciai ha arrotondato le sporgenze trasformandole in gibbosità a cupola. Il ghiacciaio che scende dalla Fradusta si distende sulla superficie dell’altopiano come il miele sul piatto; e per quanto potevo vedere, le acque di fusione del ghiacciaio sembrano diramarsi in due o tre direzioni. Alcune buche erano piene di neve, il cui scioglimento aveva prodotto piccole polle temporanee; ma per la maggior parte il plateau aveva l’aspetto della più selvaggia e sterile desolazione”. L’idea di deserto è dominante, non solo nei primi viaggiatori, ma anche probabilmente in tutti quelli che oggi si inoltrano nell’altopiano e, in effetti, le traversate delle Pale sono esperienze particolari, da qualunque parte le s’intraprenda. La genesi di questo “deserto butterato” non è del tutto ovvia. L’ipotesi più accreditata riconosce in esso la superficie della scogliera di dolomia, da cui l’erosione – atmosferica, glaciale, torrentizia – ha asportato gli strati soprastanti più giovani, portandola all’aspetto attuale. Una conferma di questa idea sta nel riconoscere alcuni tratti pianeggianti anche in altre zone delle Pale e dei gruppi vicini: in particolare, la prosecuzione di un piano lentamente digradante verso nord-est si individua nelle Pale di San Lucano e nel Monte di Pelsa, dall’altra parte del Cordevole. Nella zona del Pelsa e della Civetta, e anche a sud di Primiero, restano le successive formazioni di Dolomia Cassiana e Principale. Il Passo della Rosetta (2572 metri) è un punto chiave, nella geografia delle Pale: rappresenta l’accesso da nord, dalla Valle di Garès, e da ovest, da San Martino di Castrozza. A poca distanza dal passo fu costruito nel 1889 il rifugio della SAT, punto d’incrocio degli itinerari d’accesso al cuore del gruppo. Da qui, ancora oggi, l’apparizione dell’altopiano è improvvisa ed emozionante come cent’anni fa. Sulla Val Canali, all’estremo sud-est, l’altopiano mostra un aspetto più arcigno e rupestre e va a esaurirsi in fretta sui ghiaioni attraversati dal sentiero che porta al Rifugio Canali-Treviso. Anche da questa parte le carte riportano toponimi che si riferiscono al carsismo dei luoghi: in particolare qui troviamo il nome tipicamente agordino Foc, “conca”, ma anche “dolina carsica”. I Foc di sopra e i Foc di sotto sono le conche sovrastanti il Passo Canali verso la cresta della Fradusta e il suo ghiacciaio. Verso nord e verso est l’Altopiano delle Pale si protende sulle valli, e sembra volerle raggiungere andando ad inabissarsi nei pascoli e nei boschi: appunto al Pian di Mièl, o al Campo Boaro, o al Coll’Alto, da cui si scende nel versante agordino. Del tutto diversa la geografia sugli altri lati. La catena centrale e quella trasversale delle Pale si alzano di soli 200-300 metri rispetto alla quota media del plateau, ma questo bordo sopraelevato è sufficiente a renderlo invisibile da valle. Il placido ghiacciaio della Fradusta chiude l’orizzonte verso sud.