Cesare Lasen: il maestro dei fiori

Tra i segreti del mondo vegetale con il botanico Cesare Lasen

Sembra un rimando al mondo giapponese, che anticipa qualcosa in rapporto allo zen, quasi che si voglia parlare di un monaco buddista… Invece il protagonista è un cristiano, un uomo di fede che si è posto per l’intera vita non tra, ma con i fiori, le piante e il mondo della natura.

In un’epoca così avara, di uomini che riescono a trasmettere insegnamenti, valori ed entusiasmo per la vita, trovare le tracce di un maestro che da sempre è nel sentiero della ricerca per studiare e lasciare agli altri il proposito di continuare, è un’occasione da non lasciarsi sfuggire.

Cesare Lasen, nato nel 1950 in una frazione omonima (comune di Feltre), vive in un paesino alle pendici del Monte S. Mauro (Vette Feltrine). Proveniente da una famiglia di contadini, gente povera, abituata alla dura vita di montagna, a fare tanto con poco, a non sprecare niente, ad imparare la legge della natura e a conviverci, dapprima è riuscito a diplomarsi perito chimico e poi a laurearsi in Scienze Biologiche.

Per 4 anni lavora al Centro Ricerche Termiche e Nucleari a Milano, ma il richiamo della sua terra e delle sue radici è troppo forte, gli mancano l’aria, i fiori, le montagne… Così ritorna a Feltre per dedicarsi all’insegnamento nelle scuole medie e superiori rivolgendo il suo interesse alla botanica, in particolare alla floristica, fitosociologia e geobotanica. La sua passione lo porta ad occuparsi di studi ecologici e applicativi, con particolare attenzione ai problemi della tipologia forestale, dei prati e di tutti gli habitat di “Natura 2000”, ma in particolare dei temi connessi alla conservazione della natura e della valutazione della qualità e dell’impatto ambientale. Non si contano a tal proposito le consulenze, le collaborazioni con università, i convegni ai quali ha partecipato, gli studi e le pubblicazioni scientifiche.

Molti sono anche gli incarichi e le collaborazioni che ha ricoperto o ricopre presso istituzioni, archivi, comitati o redazioni: presidente dell’associazione editrice della rivista “Le Dolomiti Bellunesi”, collaboratore dell’Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore, della Fondazione Angelini “Centro studi per la Montagna”, primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (dal 1993 al 1998), componente del Comitato Scientifico Centrale del Cai, della Commissione Centrale Protezione Natura Alpina, presidente del Gruppo di Lavoro per i Parchi, membro della Giunta della Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, componente della Consulta Tecnica Nazionale per le aree naturali protette. Sui progetti delle aree SIC e Rete Natura 2000 ha lavorato per conto della Regione Veneto, della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento nella realizzazione di manuali di interpretazione degli habitat e per la redazione di cartografie vegetazionali di interpretazione degli habitat.

Ma la sua attività di ricerca lo impegna soprattutto nelle montagne dolomitiche dove, se per caso lo si incontra lungo un sentiero, in qualche cengia, viàz o ripido pendio, con il berretto da pescatore in testa, con quella borsa in tela che tiene a tracolla sul davanti – ci mette le piante per il suo erbario –, piegato con il busto verso il terreno, intento ad osservare una pianta, a fotografare un fiore o tutto preso con la lente d’ingrandimento per riconoscere una specie, non si direbbe di trovarsi davanti ad uno dei massimi botanici italiani. Ma lui è uno così: unisce la grande capacità di muoversi in terreni difficili e con grandi dislivelli, alle conoscenze tecnico-scientifiche che gli servono per studiare quella pianta o quell’ambiente.

È invidiabile lo stato di grazia e serenità del quale sembra permeato e non si capisce se sia la fede nel suo Dio a guidarlo oppure lo straordinario fascino che il mondo dei fiori e delle piante esercitano su di lui, mondo che pure un musicista non vedente come Stevie Wonder aveva provato ad indagare nel disco “The secret life of plants”.

Quando il “maestro” parla di fiori e piante sembra si rivolga a persone: le chiama colonie, consorzi, famiglie, comunità…, ci va delicato, quasi accarezza le parole, ci mette cura e amore nel dire, e si capisce il perché. Seppure viviamo in un mondo frenetico, povero di valori e poesia, da sempre i fiori e le piante sono parte della nostra vita. Basti pensare l’uso che si fa per abbellire un giardino o dare un tocco di colore all’interno di un’abitazione. Li si porta ad un invito a cena, ad un incontro amoroso, li si usa nei riti e nelle cerimonie.

I fiori cadenzano il nostro tempo e le nostre esistenze, sono dei compagni di viaggio, la riconferma, il risveglio della terra e della natura tutta dopo il lungo letargo invernale, sono la gioia, il sorriso, la voglia di vivere e darsi agli altri: colore, profumo, polline.

Quante volte noi, frequentatori della montagna, siamo passati indifferenti davanti ad un albero secolare, ad un arbusto o ad un fiore, quante invece siamo rimasti lì incantati, come davanti allo specchio della nostra anima. Aveva visto e sentito bene il politico americano Henry Word Beecher quando nel 1800 diceva: “I fiori sono le creature più dolci che Dio abbia mai fatto e alle quali si sia dimenticato di infondere un anima“.

Ed è forse per questo che il “maestro dei fiori”, dopo una vita spesa per lo studio e la ricerca, ancora oggi conserva intatta la sua grande passione che con entusiasmo coinvolgente trasmette durante corsi, escursioni, conferenze ed incontri. In suo onore il professor Fröhner (uno specialista tedesco di Dresda) dopo aver scoperto nel 1986 una nuova pianta nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (Busa delle Vette) gli ha dedicato l’Alchemilla lasenii, e nel 2011 il suo lavoro per la cultura alpina è stato riconosciuto dalla giuria del prestigioso premio “Pelmo d’oro”.

L’ennesima salita del Monte San Mauro è l’occasione per rinsaldare il nostro rapporto d’amicizia ed affrontare temi ambientali, mai come oggi così attuali e sentiti.

Come ti sei avvicinato ai fiori, allo studio della flora e della botanica?

Subito dopo il diploma come perito chimico, a Milano, avevo deciso di seguire biologia poiché per scienze naturali era obbligatoria la frequenza. Ho scelto un piano di studi con botanica in evidenza e, soprattutto, la materia preferita, fitogeografia. Il motivo: non mi piaceva la città industriale e in estate non vedevo l’ora di tornare dai nonni, la casa più alta e isolata della frazione di Lasen, senza strada, senza acqua corrente, senza luce elettrica. Probabilmente le prime esperienze in natura risalgono all’età infantile e quell’imprinting è poi riaffiorato in età giovanile.

 

C’è stato qualcuno che ti ha fatto da maestro?

Sostanzialmente da autodidatta, con aiuti da parte del professore che ha accolto la mia proposta di tesi. Subito dopo l’Università, invece, è stato il prof. Sandro Pignatti, diventato poi amico, a incoraggiarmi e insistere affinché continuassi a occuparmi di flora.

Cosa ti rimandano i fiori, le piante, gli alberi da dedicarci così tanto tempo? È solo ricerca tecnica o c’è del sentimento?

Il verde mi ha sempre attratto, era il mio colore preferito fin da bambino. La varietà del mondo vegetale era stupefacente e volevo capirla meglio. Sì, parte era sentimento, ma non mi bastava, volevo penetrare tra i segreti di quel mondo ed era necessario approfondire, appunto ricercare.

Sei stato il primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, cosa ha significato per te questa esperienza?

Ho accettato per senso di responsabilità in un momento difficile (tangentopoli) e perché mi è stato chiesto dal Cai. Mi ha cambiato la vita, sicuramente, è stata dura, ma ho imparato molto a livello amministrativo, istituzionale, dei rapporti con le persone. La sfida era quella di dimostrare che chi si occupa di ambiente e di natura non è solo per gli “ismi” e per i “no” pregiudiziali.

Quali sono i lavori, le ricerche, i progetti o gli studi per l’ambiente che ti hanno dato più soddisfazione e gratificazione?

Non ho mai pensato al lavoro e alla ricerca per avere immediata gratificazione. All’inizio ero contento di potermi occupare dei valori naturalistici del territorio in cui ero nato. Studiavo per diletto, da appassionato, e solo a 38 anni, viste le richieste di alcuni enti pubblici, ho pensato che fosse utile dotarsi di partita IVA. Diciamo che ognuno ha avuto un suo valore. Forse, la cura, oltre alla scrittura dei testi per la provincia di Belluno, del volume Tesori naturalistici. In esso ho concentrato le mie idee sulla natura e sul territorio. Ringrazio la Fondazione Cariverona che, chiedendomi, un contributo in quel versante, mi ha lasciato ampia libertà di scelta e quasi due anni di tempo per arrivare al risultato. Dai titoli delle pubblicazioni emergono i vari settori di cui mi sono occupato e, ultimamente, sempre più mi concentro sulle relazioni tra uomo e territorio, finalizzate alla cura e valorizzazione del paesaggio.

Si possono quantificare gli appassionati o gli studiosi della flora alpina in Italia?

Ci sono vari livelli, difficile avere una stima precisa. Il gruppo FAB (flora alpina bergamasca) che è tra i più attivi, conta molti soci, ma quelli che fanno ricerca sono una decina. Ad essere ottimisti, l’ordine di grandezza, inclusi appassionati di buon livello, non supera poche centinaia.

Quali contributi può portare un botanico o un florista come te al mondo della montagna e della scienza?

La conoscenza è sempre la base di partenza per qualsiasi orientamento gestionale. Il botanico è come l’archeologo e cerca di individuare i valori del territorio, a volte sulla base di reperti relittuali. Più in generale può offrire un contributo determinante nell’individuare le aree sensibili, vulnerabili, da valorizzare e riqualificare.

C’è un settore della botanica nella quale ti senti più portato, più specializzato?

Sono “nato” come florista, indispensabile per riconoscere il maggior numero possibile di piante e avere le basi. Fin dall’inizio ho eseguito rilievi fitosociologici, occupandomi di fitogeografia in senso lato. Presto ho percepito la necessità di occuparmi di problemi applicativi, di ecologia e gestione del territorio, anche di pianificazione. Da presidente di parco, inoltre, non potevo non occuparmi di conservazione della natura (liste rosse natura 2000, problemi gestionali appunto).

Infine, sempre più frequentemente, mi sto occupando di conoscenza e interpretazione del paesaggio. In che cosa consiste il tuo erbario e come lo mantieni vivo?

Non ho dati precisi e aggiornati, ma occupa un intero armadio in garage. Potrei stimare una raccolta di almeno 4000-4500 specie in circa 25000 fogli. Necessita di cure per evitare che i parassiti lo distruggano.

 

Hai un termometro delle condizioni in cui si trovano oggi i parchi italiani?

Purtroppo c’è stata un’involuzione di tutto il sistema delle aree protette, mai decollato. Meno risorse (entro certi limite comprensibile per i tagli generalizzati), ma preoccupano soprattutto le motivazioni culturali che segnano indiscutibili regressi, quasi che non fossero i gioielli da rispettare e valorizzare. Su questo tema si sta sviluppando un dibattito e partecipo attivamente al Gruppo di San Rossore che cerca, appunto, di riportare l’asse del dibattito su binari non ideologici e non asserviti a politiche di basso profilo o, peggio ancora, verso tentativi di “privatizzazione” e svendita che confermano la crisi del paese.

Con i cambiamenti climatici in corso, lo scioglimento della neve e la scarsità d’acqua, ci sono specie a rischio nelle nostre montagne?

Ci sono molti studi, ricerche, modelli previsionali e cominciano ad arrivare i primi risultati. Il programma count-down 2010 ha dimostrato il fallimento sostanziale delle politiche di tutela, troppo deboli per essere efficaci. Se non vi fosse pericolo non vi sarebbe la necessità di ricorrere a nuovi protocolli e tentativi a livello internazionale.

Fai parte del Comitato Scientifico della neonata Fondazione Dolomiti-Unesco, pensi che questa sia un’occasione per preservarle meglio o vedi il rischio che si possano trasformare in luna park?

Sicuramente il riconoscimento è un motivo in più per pensare a diverse politiche di sviluppo sostenibile. Al momento vedo ancora qualche criticità localizzata, ma non il rischio di un luna park. I problemi planetari sono più preoccupanti di quelli locali.

Di fronte allo stato di degrado, inquinamento e distruzione che l’uomo ha causato al pianeta Terra, mettendo a rischio non solo la sopravvivenza delle altre specie, ma anche la sua stessa vita, pensi che ci sia ancora una via di salvezza?

Dobbiamo “sperare” che non sia troppo tardi. La tecnologia qualcosa sta facendo. Certo, alcuni equilibri sono ormai compromessi, ma si deve ancora lavorare molto e non è detto che sia sufficiente. La Natura sa, nel tempo, riconquistare propri spazi, ma quando si superano certe soglie, il degrado è irreversibile.

Quando valichi il passo ti si para davanti una visione di incredibile bellezza, stupefacente. Sono rimasto senza parole. Tutta la catena di cime dal Makalu all’Everest supera qualsiasi paesaggio montano che abbia veduto finora… Ho attraversato una foresta di ginepri e rododendri affastellati da liane ed epifite. E mi sono divertito a correre in mezzo a prati fioriti di astri che chiazzavano di colore le pendici dei monti. Sono rimasto in estasi per metà del tempo e durante la discesa il mio pensiero si è fissato sulla natura che sta tornando verde. È stato molto interessante vedere tutte quelle montagne innevate, ma non è tutto per me. È più bello vedere il gioioso risveglio della natura, questa è la vera gioia.

In questo sentimento che l’alpinista George Mallory nel 1921 annota nel suo diario durante il primo tentativo di salita all’Everest (dove poi nel 1924 assieme a Andrew Irvine perse la vita), forse sta il segreto dell’andare per monti. In quel momento, più che all’effimera “conquista” della montagna, George aveva trovato ciò che cercava, aveva respirato la gioia della primitiva bellezza. Quasi un lascito a coloro che guardano sempre verso l’alto dimenticando ciò che sta sotto e attorno.

Non è certo così per Cesare Lasen che questo sentimento ha fatto suo entrando in comunione con il mondo dei fiori, delle piante e delle altre specie, traendone un’armonia e un insegnamento che è il senso del nostro passaggio terreno: non solo di essere stati, ma di lasciare e preservare per coloro che seguiranno tanta o più bellezza di quanta abbiamo trovato.

Pubblicazioni scelte

  • Lasen C., 1975 “Osservazioni preliminari sulla flora e sulla vegetazione del Monte San Mauro” (Alpi Feltrine). Giorn. Bot. Ital.; 109, 4-5: 299-300.

  • Lasen C., Pignatti S., Scopel A., 1977 “Guida Botanica delle Dolomiti di Feltre e di Belluno. Ed. Manfrini”.

  • Lasen C. (a cura di) 1986 “Le Alpi: guida alla natura dell’arco alpino” Ist. Geogr. De Agosti­ni.

  • Lasen C., Piazza F., Soppelsa T., 1993 “Escursioni nelle Alpi Feltrine”. Cierre Edizioni.

  • Del Favero R., Lasen C., 1993. La vegetazione forestale del Veneto. 2ª Ed. Libreria Progetto Edit., Padova.

  • Lasen C., 1994 “La vegetazione”. In Busnardo G., Lasen C. “Incontri con il Grappa: il paesaggio vegetale”: 60-173. Ed. Moro, Centro Incontri con la Natura “don Paolo Chiavacci”.

  • Argenti C., Lasen C., 2001. “La flora. Volume 3 della collana Studi e Ricerche del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi” Duck edizioni.

  • Argenti C., Lasen C., 2004. “Lista rossa della flora vascolare della Provincia di Belluno” ARPAV.

  • Ziliotto U. (coord.), Andrich O., Lasen C., Ramanzin M., 2004. “Tratti essenziali della tipologia veneta dei pascoli di monte e dintorni” Regione del Veneto, Accademia Italiana di Scienze Forestali.

  • Lasen C., 2006. Habitat Natura 2000 in Trentino. Provincia Autonoma di Trento.

  • Lasen C. (a cura di), 2008. “Tesori naturalistici. Viaggio alla scoperta dei paesaggi e della biodiversità, dalla montagna al mare, nelle province di Belluno, Vicenza, Verona, Mantova, Ancona” Fondazione Cariverona.

  • Buffa G., Lasen C., 2010. Atlante dei siti Natura 2000 del Veneto. Regione del Veneto, Direzione Pianificazione Territoriale e Parchi, Venezia, pp. 394.

  • Lasen C., 2011. “Il concetto di valore nella componente naturale del paesaggio”. In AA.VV. “Esercizi di paesaggio”. Pag. 51-60. Regione del Veneto. Direzione Urbanistica e Paesaggio (n. 4), Venezia.

  • Lasen C., 2011. “Linee guida per l’analisi ecologica e per la valutazione del patrimonio naturale”. In AA.VV. “Esercizi di paesaggio”. Pag. 61-69. Regione del Veneto. Direzione Urbanistica e Paesaggio (n. 4). Venezia


Vittorino Mason

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